Oltre 50 Rotary Club tra cui il Rotary Club di Cento collegati in videoconferenza per ascoltare una relazione di economia dal titolo “Covid-19: cosa cambia per la produzione italiana e quali opportunità?” tenuta dal Prof. Paolo Boccardelli – Direttore della Luiss Business school.
Boccardelli ha iniziato la serata con una lucida analisi della attuale situazione nata dal lockdown dell’Italia e ha poi proseguito cercando di individuare gli elementi di cambiamento che potrebbe avvenire.
A tal proposito si riporta il commento del Prof. Boccardelli pubblicato su Affari & Finanza, il 6 aprile 2020 .
Il coronavirus potrebbe costare all’economia globale ben più dei 2,7 trilioni di dollari inizialmente stimati. Nel nostro Paese, per fare un esempio, le vendite di automobili sono precipitate a marzo dell’85%, mentre per gli Stati Uniti il più recente report di Goldman Sachs stima una contrazione del PIL del 34% nel secondo trimestre. Quello a cui stiamo assistendo viene definito in letteratura un “Cigno Nero” o “Environmental Jolt”, una discontinuità in natura, un evento non facilmente prevedibile il cui comportamento e i cui effetti non sono stimabili ex ante, ma osservabili solo ex post.
L’emergenza Covid-19 è una crisi globale, trasversale e che produce uno shock sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta: sebbene sia ancora presto per qualificarne in modo netto gli impatti, il dibattito sulla loro durata e profondità è molto acceso.
Gli effetti del coronavirus sull’economia globale
Il primo e forse più evidente effetto è il possibile cambiamento della globalizzazione. In questi anni abbiamo assistito alla delocalizzazione di numerose attività produttive in aree a elevata concentrazione industriale, spesso in Paesi emergenti, a basso costo e alta specializzazione, in grado di garantire significativi livelli di investimenti, il raggiungimento di importanti economie di scala e produttività. Questo ha portato alla creazione di piattaforme industriali regionali e allo sviluppo di un’offerta specializzata di servizi che rendono possibile l’integrazione fra queste piattaforme e le catene che arrivano fino ai mercati di sbocco.
Questo modello è risultato estremamente vulnerabile all’attuale crisi: secondo l’Institute for Supply Management, il 75% delle aziende ha subito dal coronavirus un impatto estremamente rilevante nella catena di approvvigionamento. La risposta a cui assisteremo sarà inevitabilmente caratterizzata da alcune mosse: reshoring, almeno in parte, di alcune catene produttive, sviluppo di nuovi insediamenti produttivi più vicini ai mercati di utilizzo, nuove alleanze e partnership con operatori locali e in definitiva un ripensamento del modello spinto di globalizzazione a cui abbiamo assistito in questo ultimo decennio.
Il reshoring è un tema chiave, al centro delle analisi di aziende e decisori: secondo un recente rapporto di Bank of America, l’80% delle multinazionali ha studiato un piano di rimpatrio di parte della produzione, mentre più di un governo valuta favorevolmente sconti, fiscali e contributivi, e taglio del costo del lavoro per le imprese che effettuino “back-reshoring”. I settori potenzialmente interessati sono l’hi-tech, l’automotive, il tessile, il farmaceutico e l’arredo: è chiaro che sono processi lunghi e complessi, ma probabilmente inevitabili.
Vale tuttavia la pena sottolineare che il reshoring non si attua esclusivamente con agevolazioni, ma approntando un ecosistema industriale e manifatturiero che possa competere con le altre aree del mondo. E questo in Italia implica fare delle scelte rilevanti per adeguare le infrastrutture (logistiche, energetiche e digitali) ai benchmark più elevati.
Accelerare la trasformazione digitale: banda ultra-larga, 5G, formazione
Un altro fenomeno rilevante è l’accelerazione dei processi di trasformazione digitale e culturale in tutti i campi, dalla formazione alla cultura allo shopping: questo esperimento sociale “forzato” è una via senza ritorno, perché anche quando si ritornerà alla vita normale difficilmente si vorrà rinunciare ai benefici del digitale. Passeremo dalla società post-industriale, a quella digitale e infine alla data-driven society senza avere tutto il tempo che avremmo voluto concedere alle persone e ai lavoratori per abituarsi alla società dei big data e dell’intelligenza artificiale. Un’esperienza che, per forza di cose, richiederà di accelerare ulteriormente sullo sviluppo delle infrastrutture digitali (banda ultra-larga e 5G) e sul supporto alla formazione del capitale umano.
La velocità di trasformazione genererà complessità enormi anche alle autorità di regolamentazione, le quali rischiano di non riuscire a comprendere in tempi adeguati la nuova realtà e a risolvere temi chiave quali diritto alla privacy, protezione dei dati, cybersecurity e proprietà intellettuale nell’economia digitale. Si dovrà per forza di cose saltare nel buio e piano piano illuminare lo spazio digitale aperto dalla nuova economia post Covid-19.
Ma gli effetti possono andare anche oltre e muoversi in territori più ampi. Certamente cambierà la visione del Servizio Sanitario Nazionale, di quanto sia di valore un sistema universale come il nostro, che garantisce il diritto alla salute a tutti i cittadini, e di quanto sia necessario investire, sostenibilmente, in questo settore per mantenere il sistema di welfare alla base della nostra società.
Coronavirus: il ruolo dell’Unione Europea
Questa emergenza, infine, non potrà che arricchire, usando un eufemismo, il dibattito tra sostenitori dell’Unione Europea e sovranisti. Un dibattito che dovrà interpretare alla luce degli eventi il ruolo che può giocare per la stabilità e lo sviluppo della area Europea una politica di maggiore integrazione e di risposta coordinata sia dal punto di vista sanitario sia da quello economico. A oggi l’unico vero segnale rimasto dell’esistenza della UE è la moneta unica: senza un passo avanti verso gli Stati Uniti d’Europa, gli effetti le conseguenze a lungo termine del cigno nero potrebbero essere ancora più profonde.