Enzo MALAGUTI, socio del nostro Club per tanti anni, ci ha lasciato.
Per ricordarlo abbiamo pensato di dar voce ad un nostro socio che aveva instaurato un “rapporto speciale” con Enzo, si tratta di Giorgio ALLEGRI che in poche righe ha tracciato un ricordo di Enzo:
Era di qualche anno più anziano di mio padre. Probabilmente eravamo anche lontani parenti, in qualche modo, perché la mia bisnonna in linea paterna faceva Malaguti di cognome, una Malaguti del suo stesso ceppo, ma non mi sono mai preso la briga di verificare.
Nella mia giovinezza era una figura di spicco, un vero notabile: io ero un ragazzo, mi sembrava molto anziano e mi incuteva una terribile soggezione. Passava per la piazza e tutti, ma proprio tutti, lo salutavano, chi con familiarità, chi con deferenza: la Terranalisi era un’azienda importante, e la mia mente di bambino si raffigurava laboratori di un candore accecante, strumenti scientifici scintillanti e dalle funzioni incomprensibili, camici con regoli calcolatori infilati nel taschino. Poi, piano piano, l’ho conosciuto meglio, ma sempre da lontano: ho carpito frammenti delle sue conversazioni domenicali sul sagrato della chiesa, dopo la Messa delle undici (dove io fingevo di andare per tenere tranquilla la mia mamma, povera), ho raccolto qualche aneddoto che lo riguardava. Con pochi frammenti ho cominciato a dargli una fisionomia: la soggezione ha lasciato spazio a quella simpatia che si riserva ai solidi uomini in gamba che però non si prendono troppo sul serio. E poi abbiamo cominciato a salutarci con amicizia, ed ho scoperto che Enzo era assai più di quanto avessi immaginato. Tutti scrivono così quando un amico muore. Tutti tessono elogi, più o meno ipocriti. Bella forza. Ma Enzo non merita un lacrimevole discorsetto di circostanza: sarebbe il primo a riderne. Merita piuttosto che venga testimoniata la sua forza, il suo coraggio nelle avversità - benché il suo sorriso fosse sempre pronto e la sua allegria covasse sempre nel fondo dei sui occhi arguti, ne ha avute tante - la sua serenità nella malattia che a poco a poco, implacabile, lo rubava a noi che gli volevamo bene.
Un olmo robusto, un olmo capofila, si è schiantato. Siamo tutti un po’ più poveri.