Mentre ordinavo un’abbondante porzione di porchetta all’ambulante della Fiera del patrono di Ferrara (San Giorgio), sentendo la sua parlata toscana, gli ho chiesto da quale città veniva, aggiungendo “anch’io ieri ero in Toscana, a Camaldoli”. La risposta, interrogativa, è stata: “A fare che?”. “A trovare i frati”, ho subito ribattuto. D’altra parte avrei faticato, e non poco, a spiegare che ero via con una bella compagnia di amici del mio club, il Rotary di Cento, e che avevamo trascorso momenti belli intensi, utili e simpatici, personali e comunitari là sull’antico eremo in mezzo a una foresta ultrasecolare, a mille e cento metri di altezza, col cuore e lo spirito ancora più in su e più fuori. Già, è stata una tre-giorni impossibile da dimenticare. Camaldoli: arriviamo. La cronaca è facile: venerdì 21 aprile pomeriggio l’incontro davanti alla sede naturale del club, l’hotel Europa; poi il saluto festoso, la scelta delle auto per il trasferimento (meglio le 4x4 perché “forse lassù c’è la neve” !) e il …caricamento delle vivande (un esercito?) con una particolare cura per il vino perché il Maurizio-presidente manifesta più di una preoccupazione circa il pericolo di astinenza (da rosso o bianco, ben s’intende). In due ore e mezza la truppa raggiunge l’eremo; c’è il sole, il cielo è azzurro come non mai, l’antica struttura è in perfetto ordine. Il piazzale per le auto è stato creato forse non molti anni fa contendendo lo spazio senza troppa fatica alla foresta di abeti bianchi: 11.000 ettari di natura dove vivono molte specie animali compresi due esemplari di cervo e di capriolo sui quali si imbatterà, fortunato, Paolo. Siamo una ventina, alcuni arrivano la mattina del sabato, altri se andranno quella sera.
Giù i bagagli dalle auto e si entra nell’eremo raggiungendo subito la zona “ospiti (possiamo dirlo?) speciali”. Ci aspettano le camerate – maschi di qua, femmine di là - con possibilità per qualche coppia di utilizzare una camera propria. Quindi il clima non può che essere…cameratesco e non volendo si forza subito un po’ l’atmosfera di silenzio che pervade questo antico loco fondato, - pensate – all’inizio dell’anno 1.000. Giù nell’ampia sala con camino – annessa c’è una bella cucina – dopo un po’ ci raggiunge Francisco, un monaco, sacerdote, di Siviglia con la barba bianca, da anni amicissimo di Maurizio e Loretta. Fa gli onori di casa, ci dà il benvenuto, ci offre qualche notizia dei “programmi”. In realtà ci invita semplicemente a condividere con loro – i monaci – la normale giornata di preghiera. Tutti aderiscono con grande convinzione, ma anche con molta curiosità e un po’ di sacrificio. Già, perché dopo la partecipazione ai vespri del venerdì, al sabato si è presenti a tutti i momenti di preghiera della giornata: lettura dei salmi (sveglia alle 5,30 al suono delle campane), mattutino, messa, ancora vespri, fino alla compièta dopo cena. Potremmo definirla una full immersion con il Cielo ma anche con noi stessi. Sabato mattina si ribadisce il programma. Che dire dopo un’esperienza del genere? Ognuno vive la propria personale, anzi unica, esperienza di fede, di spiritualità, di intimità. La decina di monaci in saio bianco che vive lassù offre un modello decisamente particolare della vita cristiana. Pregano e …basta, gli ormai pochi confratelli. E fanno riferimento alla Bibbia, leggendo e salmodiando secondo schemi e modalità spesso antichi. La liturgia è scandita dalla tradizione, il silenzio è il must che insaporisce la bellezza di un’architettura spartana, solo un po’ intaccata dalla barocchizzazione secentesca della chiesa.
Venti celle indipendenti a casetta offrono di prima mattina, e mentre cinguettano le rondini e i merli più mattinieri, un panorama di quiete che addolcisce l’animo. Qui non giunge il rumore di fondo della società moderna che lievita laggiù nella valle. E’ difficile persino il collegamento telefonico coi cellulari. Internet è invece del tutto off limits per cellulari e tablet. Com’è finita la partita? E’ così importante? No, allora lo saprò domani. Isolati, per certi versi; ma forse non è proprio così perché il priore Alberto, cremonese, barba bianca e lunga, occhi chiarissimi e limpidi, è informatissimo su tutto. La sua è una cultura tutt’altro che monocorde. Sta con noi una mezz’ora il sabato e farà ...il bis domenica facendoci visitare l’antica biblioteca con opere (non solo cartacee) di assoluto valore. Poi ci fa entrare nel recinto delle celle fino al piccolo cimitero dove giacciono (quasi tutti vecchissimi) i camaldolesi scomparsi. Tumori e alzheimer pare siano una rara causa di morte tra questi monaci la cui Regola impone pesce due volta la settimana e non esclude la carne. Piuttosto prevede una dieta varia e soprattutto salubrità e sobrietà. Come dite? Il vino? Un bicchiere a pasto, non secondo il dietologo ma - udite, udite – secondo la Regola. Dunque, pare non siano mai esistiti camaldolesi astemi. Il sabato pomeriggio è anche dedicato alla visita del Monastero che sorge tre chilometri più a valle. Qui incontriamo Antonio Galuppi, monaco centese in comunità dal 1961. Ci mostra, dolcemente pacato, in punta di piedi, la bella chiesa, il chiostro, i corridoi con le celle e lo splendido refettorio con una poderosa ed elegante tela di Pomarancio. Ricorda con un sorriso la sua prima vita a Cento, i suoi studi alle "Taddia", il lavoro alla VM. Poi la Chiamata e la seconda vita all'eremo da cui è sceso una decina di anni fa: "Faceva troppo freddo".
Come definire, in conclusione, la Tre giorni camaldolese? Un ritiro spirituale? Un fine settimana di meditazione e preghiera? Un intermezzo artistico-culturale? Tutto questo, ma non solo. E' stata, infatti, anche una piacevole esperienza di comunità e dunque di condivisione. Il Rotary è anche questo. E allora bisogna dare grande merito a Maurizio Dinelli di aver proposto questa esperienza al club; chi ha potuto ne ha approfittato ed è tornato felice anzi entusiasta. Al presidente e a Loretta si deve dunque questa piacevole novità arricchita da momenti di svago, giochi, battute e convivialità grazie ai pranzi sopraffini cucinati all'eremo a base di chianina o ai menù del ristorante al fianco del Monastero dove invece hanno imperversato i funghi. Anche il cibo pretende insomma i riflettori; per il cuore e per lo spirito l'illuminazione, invece, viene dal silenzio e, per chi crede, dalla preghiera. Alberto Lazzarini